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COMMENTI - DISCUSSIONE > di v. bertello - p. zorzi
sui testi "sulla rivoluzione H" (p.z.); "determinismo e volontarismo" (v.b.) a partire da "la sorgente ungherese" di c. castoriadis

RISPOSTA di Valerio Bertello
A “SULLA RIVOLUZIONE H”


Solo alcune osservazioni su alcuni punti del testo.

1. “Il fallimento di ciò che veniva spacciato per comunismo e in realtà era dittatura non poteva che essere inevitabile. Questo perché la dove non esiste libertà di pensiero è difficile che si sviluppi alcunché.”

Lo stesso si può dire per il capitalismo e per ogni società di classe, ma ciò non ha mai frenato lo sviluppo sociale ed economico, anzi lo ha sollecitato. In realtà è proprio il fatto che un dato sistema sociale ostacoli lo sviluppo economico ciò che determina la sua fine quanto modo di produzione obsoleto, evento che produce successivamente il superamento anche delle sue produzioni intellettuali.

2. “ …[il capitalismo] era la realtà socio-politica più avanzata …

All’epoca del socialismo reale il capitalismo non era considerato più avanzato del comunismo sovietico, anzi questo era ritenuto dal punto di vista economico un modello da imitare, ciò perché la pianificazione aveva conseguito un successo imprevisto nella modernizzazione delle strutture produttive. Tale modello venne in effetti riprodotto sia dai paesi sottosviluppati che da quelli a capitalismo avanzato. Essi abbandonarono la dottrina liberista, dominante all’epoca, per una economia se non pianificata integralmente comunque diretta dallo stato, con l’adozione delle politiche keynesiane e lo sviluppo dello stato sociale. Ciò che rimane vero anche ai giorni nostri, nonostante la retorica neoliberista.

3. “ … le rivoluzioni che si sono realizzate godendo nell’immediato di un più facile consenso dato da una certa inerzia culturale, …

Le rivoluzioni sociali sono in primo luogo non un fatto culturale ma economico. Solo in conseguenza di ciò sono effetto della percezione dei rapporti sociali sentiti come ingiusti, diventando così un tatto culturale, ma lo sono sempre in termini di antagonismo sociale tra classi. Cioè le tensioni sociali hanno origine nella struttura materiale e solo quando questa entra in crisi essa si può propagare alla sovrastruttura culturale.

4. “… questo non può significare abbandonarsi fatalisticamente alla convinzione che la rivoluzione non potrà che passare attraverso la condizione borghese in quanto materialmente più avanzata.”

Il capitalismo è un sistema sociale instabile, quindi si trova perennemente in crisi. Il materialismo storico spiega questa circostanza ma lo fa in termini generali. Quindi se una crisi sia risolutiva, cioè irreversibile, lo si può giudicare solo a posteriori. Questa circostanza consente al movimento rivoluzionario di non abdicare mai al suo ruolo storico, che è quello di affossatore del capitalismo, neppure provvisoriamente, e di considerare ogni lotta come un evento dall’esito mai scontato, e quindi di affrontare ogni scontro come quello risolutivo. In effetti il ruolo degli individui è sempre determinante in quanto i fattori oggettivi di crisi sono tali solo in quanto spingono le classi a radicalizzare lo scontro.

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RE:
di paola zorzi

ho dato per scontato che ad un determinato pensiero che contraddistingue un'epoca sia sotteso un particolare quadro economico-sociale. questo però, anche per le contraddizioni che solleva, talvolta è già in grado di produrre una diversa percezione della realtà che apre a nuove prospettive e sensibilità. è il caso ad esempio della toscana e della firenze rinascimentale, che potremmo considerare l'equivalente sotto il profilo economico (dunque strutturale e materiale) della new york odierna. allo stesso tempo però lo stesso leonardo da vinci fu costretto a portare avanti alcuni dei suoi esperimenti in clandestinità per non incorrere nelle ire funeste del potere religioso. con questo vorrei solo si tenesse conto dell'eventualità (che giustamente non sempre è la regola) che nuovi modi di fare e pensare possano andare ben oltre i confini stessi in cui sono nati. in tal caso è anche vero che un primo impulso piuttosto astratto dovrà inevitabilmente misurarsi con la nuova realtà che mano a mano andrà a crearsi e che questa a sua volta getterà le basi per passi ulteriori.

in ogni caso sono d'accordo: un cambiamento delle condizioni materiali e della struttura di una società implicano un nuovo modo di pensare e, per dirla con il linguaggio teorico, l'ambito sovrastrutturale (cultura, pensiero etc.) è determinato se non influenzato da quello strutturale (materiale, sistema economico).

a volte però nella storia è come se si aprissero degli squarci dai quali pare difficile arretrare. questo può accadere anche attraverso esperienze marginali o casuali 1) e che il periodo storico, magari suo malgrado e con altri fini, porta al punto di poter essere percepite o parzialmente realizzate. se poi queste riescono a interpretare in pieno tutta una serie di problematiche e di attese è possibile che anche queste concorrano ad un avanzamento.

capisco che nell'affrontare il problema in questi termini il rischio è quello di un'interpretazione della storia di tipo idealista, individualista o romantico. dal mio punto di vista si tratta semplicemente di cogliere ogni input in direzione di una trasformazione (rivoluzione?) adeguata alle necessità dell'intera società. anche qui è sottinteso che un cambiamento reale avverrà solo quando questo sarà portato avanti e realizzato dall'intera società. la stessa società che a quel punto non sarà più disposta a subire e considererà necessaria una profonda trasformazione.

ma il problema si pone anche sotto un altro aspetto dato dal fatto che la realtà non è così univoca come sovente ci viene presentata. è un po' come per la vita, perché questa sia possibile è necessario vengano assolte più funzioni contemporaneamente. se solo una di queste viene trasgredita il rischio è che tutto finisca. in parole molto povere non basta mangiare per vivere ma è indispensabile anche bere e respirare, muoversi, prestare attenzione, apprendere e davvero molto altro! e questo vale anche per le tante necessità di una società.

concordo nel pensare che, quanto del comunismo è sopravvissuto nel socialismo reale, potesse avere una portata innovativa superiore al capitalismo, un sistema quest'ultimo dove in effetti permangono ancora molti elementi di arretratezza, autoritari, gerarchici e sovente davvero poco democratici. il problema del socialismo reale però, oltre alla necessità di una sua evoluzione (anche lo stato borghese è iniziato con tanto di ghigliottine e sfruttamento oggi impensabili), è stato il suo successivo ripiegamento in senso autoritario e conservatore. questo fatto lo ha riportato indietro nel tempo proprio mentre il capitalismo, anche attraverso le lotte di classe alle quali lo stesso comunismo (magari in occidente idealizzato) aveva dato respiro, concedeva gioco-forza maggiori diritti e di fatto beni materiali. questo, è vero, è avvenuto in un contesto incerto e schizofrenico dove gli interessi in campo erano del tutto differenti. in effetti, non so fino a che punto la società sarà disposta a vivere nella precarietà di un tale doppiezza. infatti perseguire il profitto del capitale sperando che questo, quale prodotto di scarto, lasci fuoruscire qualcosa che casualmente coincida con l'interesse di tutti... potrebbe rivelarsi pericoloso.

ma il discorso è molto complesso e non può certo esaurirsi in poche righe. di fatto quando si realizza concretamente qualcosa di completamente nuovo, da un lato si è costretti misurarsi con l'onda lunga del condizionamento culturale delle epoche precedenti, dall'altro con problemi contingenti tra i più vari. inoltre non sottovaluterei il potere della comunicazione e istruzione.

infine vorrei comunque precisare che dal mio punto di vista il termine rivoluzione non può significare semplicemente un cambiamento dello status quo ma implica una visione e un modo del tutto inedito di affrontare i problemi. lo stesso che consente di interpretare problemi fino a quel punto misconosciuti e irrisolti.
questo è quel che distingue movimenti che si presentano come rivoluzionari ma in realtà sono reazionari o trasformisti da altri che implementano processi, trasformazioni capaci di incidere nella direzione di una reale emancipazione della società.


1- anche in “determinismo e volontarismo“ si accenna a fattori aleatori che possono aprire a nuove prospettive. certo le probabilità che l'aleatorietà coincida con le necessità umane non sono mai molte ma a volte questo accade. detto questo non vorrei nulla togliere ad altre esperienze più indirizzate o risultanti dal mutamento della struttura sociale.

in ogni caso il permanere per secoli di sistemi economici arretrati e delle loro conseguenti ideologie fa riflettere sul potere condizionante ed accecante in cui le società a volte restano impigliate.

ma se in effetti il grado tecnologico attuale non avrebbe mai potuto determinarsi in una società aristocratico-feudale è anche vero che alcuni segni premonitori erano già apparsi prima che la borghesia andasse al potere. capisco che il discorso potrebbe aprirsi ad un'interpretazione del mondo in funzione meritocratico-individualista piuttosto che improntata alla collaborazione e al “fare” concreto. vale a dire la ricerca e il premio di colui che è più avanzato e saprà indicarci la strada ... piuttosto che l'assecondare dinamiche sociali più estese e concrete al di là di meritocrazie che in quei contesti sono sempre molto discutibili.

questo però è quel che è accaduto fino ad ora in un sistema come quello attuale. fuori da queste logiche sarebbe davvero interessante constatare come tutto possa apparire diversamente. si potrebbe ipotizzare cioè il caso in cui da un lato si sia coscienti di quanto la struttura di un sistema e le sue dinamiche sociali siano determinanti e dall'altro non si lascino semplicemente sfuggire tutti gli input in quella direzione, compresi quelli che si evidenziano nei periodi di transizione o intermedi.

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RE RE “commenti SULLA RIVOLUZIONE H”
di valerio bertello

Si può constatare una sostanziale unità di vedute, ma sono necessarie solo alcune precisazioni.

1. “ … un determinato pensiero … è già in grado di produrre una diversa percezione" (r. 1-3)
… vorrei solo si tenesse conto dell’eventualità … che nuovi modi di fare e pensare possano andare ben oltre i confini stessi in cui sono nati.” (r. 9-11)

Un pensiero in contraddizione con quello dominante non si dà per sé stesso, ma solo se la base economica è in crisi. Oppure può nascere per fattori casuali, ma in tal caso non viene compreso, oppure viene recepito solo quando le condizioni storiche sono maturate.

2. “… il capitalismo … concedeva … maggiori diritti e di fatto beni materiali.” (r. 45-47)

In effetti il capitalismo ha sconfitto il socialismo reale (divenuto in realtà una forma di capitalismo burocratico) non tanto perché questo era arretrato rispetto al capitalismo liberista, ma perché esso era ancora in grado di esprimere nuove forze produttive, mentre il socialismo reale in un contesto arretrato poteva solo realizzare una rivoluzione borghese per interposta persona. D’altra parte le forze produttive sviluppate dal capitalismo sono la base indispensabile per la realizzazione del comunismo.

3. “Questo è avvenuto in un contesto … schizofrenico dove gli interessi in campo erano del tutto differenti. In effetti, non so fino a che punto la società sarà disposta a vivere … una tale doppiezza.”(r. 47-50)

Infatti sotto il capitalismo il processo di produzione ha un carattere duplice: da una parte processo di lavoro, cioè finalizzato alla produzione di valori d’uso; dall’altra processo di valorizzazione, nel quale i valori d’uso sono posti come valori scambio, cioè monetari, metamorfosi necessaria per la valorizzazione del capitale monetario.

4. “… l’onda lunga del condizionamento culturale delle epoche precedenti…” (r. 55-56)
Il permanere per secoli di sistemi economico arretrati e delle loro conseguenti ideologie fa riflettere sul potere condizionante ed accecante in cui le società a volte restano impigliate.” (Nota, r.5-6)

Esiste una inerzia delle sovrastruttura, per la quale non sono le ideologie arretrate a determinare l’arretratezza materiale, ms è questa a produrre quella.

5. “… il discorso potrebbe aprirsi ad una interpretazione del mondo in funzione meritocratico- individualista piuttosto che improntata alla collaborazione …” (Nota, r. 9-17)

Il risultato storicamente più rilevante conseguito dal capitale è la realizzazione di un nuovo livello della divisione del lavoro, cioè la cooperazione manifatturiera. Essa rende necessario un elevato livello di collaborazione. Ma poiché tale organizzazione del lavoro è finalizzata al profitto, la cooperazione può realizzarsi solo in forma autoritaria, cioè come dominio del capitale sul lavoro. Tale rapporto di dominio viene occultato dall’ideologia meritocratica. In essa la concorrenza viene posta come modo di cooperazione tra i produttori, per cui ciascuno produce nell’illusione di lavorare per sé, mentre in realtà lavora per il capitalista. Ciò determina una evidente contraddizione in termini: una collaborazione concorrenziale. Si tratta del paradosso di Adam Smith, trasportato in fabbrica: l’egoismo individuale che produce l’interesse collettivo. Paradosso che già non funziona nella società ma che nella fabbrica realizza solo l’interesse del capitale.

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